Come vivevano i Norvegesi alle Fær Øer

Dopo l’arrivo dei Norvegesi in fuga da Harald Bellachioma, le Fær Øer si ritrovano nel bel mezzo dell’età vichinga. Prima di proseguire con la narrazione storica, però, ci concediamo un excursus sulla vita quotidiana dei faroesi  dell’epoca. Riteniamo infatti che la storia non sia fatta solo da re, scoperte e battaglie, ma anche da uomini comuni. Ed è proprio la vita degli uomini comuni che occupa il quinto capitolo del nostro viaggio: dalla lingua alla religione, passando per le abitazioni e i mestieri, come si viveva alle Fær Øer nel X secolo?

Una bella veduta di Tinganes, la piccola penisola dove oggi sorge il Løgting (foto da sv.wikipedia)

Il primo ting

Il ting (noto anche come thing) era l’assemblea di governo presso le antiche società germaniche. Generalmente, essa era composta da uomini che godevano di tutti i diritti civili e politici. Il suo nome, imparentato con l’inglese odierno thing (cioè “cosa, oggetto”), è sopravvissuto fino ad oggi. Infatti, lo si ritrova nei nomi di quasi tutti i Parlamenti nazionali scandinavi:

  • Folketing – Danimarca
  • Storting – Norvegia
  • Lagting – Isole Åland
  • Alþingi – Islanda
  • Løgting – Isole Fær Øer

L’unica eccezione è costituita dalla Svezia, dove il Parlamento nazionale è chiamato Riksdag. Tuttavia, il termine ting in svedese ricorre in landsting, l’equivalente del nostro consiglio regionale, deputato all’amministrazione di una delle venti contee del Paese. Dunque, dire che il primo ting dei faroesi si è svolto intorno al 900 vuol dire che la prima assemblea di governo locale si tenne proprio agli inizi del X secolo.

In realtà, a Tinganes (la penisola dove sorge il Løgting) la prima assemblea si tenne probabilmente già nell’825 circa, ma da quei primi incontri non nacque un piano di colonizzazione delle isole. E poi, quei vichinghi erano di passaggio. Stavolta, invece, a riunirsi in assemblea erano proprio i padri dei faroesi di oggi. Una curiosità: il re di Norvegia non aveva alcun potere su di loro. Ciò significa che questo è l’unico periodo di reale indipendenza nella storia di queste isole. Parlare di una “repeubblica faroese” forse è azzardato, ma di certo il piccolo arcipelago nordatlantico era uno dei pochi posti in Europa senza una casa regnante. Ed era proprio il ting a regolare ogni aspetto della vita dell’epoca.

Le attività economiche e l’urbanistica

Una tipica “barca faroese” del tipo seksæringur. Quest’imbarcazione, lunga da 28 a 30 piedi, poteva richiedere fino a 12 rematori (foto presa sv.wikipedia)

I Vichinghi faroesi si dedicavano prevalentemente ad attività agricole. Questi coltivavano prevalentemente orzo che veniva macinato con strumenti in ardesia, un tipo di roccia che veniva importato dalla Norvegia. Tra gli animali più diffusi vi erano ovviamente le pecore, grazie alle quali si sviluppò un fiorente settore lanifero. Molte diffuse anche le mucche e – a differenza di oggi – i maiali. Tuttavia, una buona parte degli alimenti proveniva dalle attività di pesca, soprattutto pesca dei globicefali. Questa attività era resa possibile grazie all’uso di speciali imbarcazioni chiamate “bache faroesi”, simili alle navi lunghe vichinghe.

Le abitazioni erano le tipiche case lunghe vichinghe, costruite in pietra. Erano costituite da un’unica stanza con un focolare al centro e delle panche lungo i muri. Numerosi ritrovamenti di queste case sono avvenuti a partire dalla metà del secolo scorso, sebbene il più importante sia quello di Kvívík, sull’isola di Streymoy.

I resti di un’antica casa lunga vichinga a Kvívík, uno degli insediamenti più antichi dell’arcipelago (foto di SpottingHistory.com)

Utensili e oggetti di valore

Tra i materiali più usati per lavorazione degli oggetti troviamo il talco, importato dalla Norvegia e forse anche dalle vicine isole Shetland. Invece, tra le pietre “autoctone” la più utilizzata era il tufo, presente in abbondanza sulle isole in virtù della loro origine vulcanica, di cui abbiamo già parlato. Col tufo si realizzavano per lo più lampade ad olio, mentre cestini e oggetti simili erano ricavati da foglie di ginepro intrecciate. L’uso del ginepro non deve stupire, visto che all’epoca esso era presente in gran quantità sull’arcipelago. La sua scomparsa in loco è da imputarsi in massima parte alle normali oscillazioni climatiche vissute dal nostro pianeta nel corso dell’ultimo millennio.

Tra i metalli occupavano un ruolo importante il ferro e il bronzo, anche questi necessariamente importati, mentre l’argento era usato come materiale di scambio per i pagamenti. Gli oggetti preziosi, oltre che con gli elementi appena citati, potevano essere anche di osso, perla e ambra.

La lingua e la religione

I primi faroesi, ovviamente, parlavano il norreno, la lingua franca del Nord in epoca vichinga. Si tratta della lingua da cui si sono sviluppate tutte le moderne lingue del ramo germanico settentrionale. Per interderci, tutte le lingue scandinave (fatta eccezione per quelle parlate dai Sami, in Lapponia) discendono in vario grado dal norreno. Tra queste, ovviamente, c’è anche il faroese, il quale è molto più vicino all’islandese che alle altre lingue scandinave. L’islandese e il faroese hanno conservato molto meglio la propria eredità norrena rispetto al trio norvegese-svedese-danese. Era l’epoca in cui si usavano le rune per scrivere e incidere le pietre, anche se di pietre runiche alle Fær Øer ne sono state ritrovate soltanto tre.

Della religione parleremo più dettagliatamente nei prossimi capitoli, visto il ruolo di primo piano che essa assumerà nella storia faroese. Per ora basti sapere che, prima dell’arrivo del Cristianesimo, i faroesi erano ovviamente devoti agli dei del pantheon nordico. Tra questi, però, spiccava il dio Thor, dal quale peraltro deriva il nome della capitale: Tórshavn vuol dire letteralmente baia di Thor. E non è un caso che nello stemma della città ci sia un martello, visto che Thor era sempre rappresentato col suo temibile Mjǫllnir tra le mani.

Lo stemma di Tórshavn

Sacrifici e sepoltura

Nella religione dell’epoca erano previsti anche dei sacrifici per ingraziarsi il favore degli dei. Tuttavia, ad oggi non sappiamo con certezza se anche alle Fær Øer esistessero dei luoghi deputati ai sacrifici. Non ci sono tracce archeologiche, e anche la Saga dei Faroesi in merito non dice una sola parola. Si è dunque pensato che eventuali sacrifici avvenissero all’aperto e non in un luogo prescelto, ma questa resta un’ipotesi difficile da confermare. Risulta invece più probabile la presenza di templi andati perduti, come quello di Hov. Si tratta di un piccolo insediamento sulla costa orientale dell’isola di Suðuroy, ma il suo nome sembra indicare l’antica presenza di un tempio.

Il megalito più grande, in primo piano, appartiene sicuramente a Havgrímur, mentre quello più piccolo sullo sfondo a Leivur Øssurson. Le differenti dimensioni e posizioni (uno in verticale, l’altro in orizzonttale) indicano che il primo è morto in battaglia, l’altro di vecchiaia. Entrambe le pietra si trovano a Hov (foto presa da sv.wikipedia)

Il culto dei morti è invece meglio documentato, ma anche in questo caso Hov sembra essere stato un centro nevralgico per i faroesi dell’epoca. Qui infatti si trovano due megaliti, le cui caratteristiche sono meglio descritte nella didascalia della foto qui a lato. Inoltre, tra il 1956 e il 1957 sono stati riportati alla luce a Tjørnuvík (isola di Streymoy) altri resti interessanti. Si tratta dei resti di una donna sepolta con ogni probabilità nel X secolo.