Dopo numeri e cultura sportiva, giovani e staff, l’ultimo passaggio della nostra analisi è dedicato alla tattica e alla tranquillità nelle scelte tecniche.

Oronzo Canà tattica

Chissà come sarebbe andata al Bernabeu contro la Spagna se Ventura avesse applicato bizona e 5-5-5… (youtube.com)

Della tattica ci sono solo tre numeri da dire: 4-4-2. L’unica trasgressione vista in questi anni è stato il 4-4-1-1 per sfruttare al meglio le doti individuali di Gylfi Sigurðsson. Con questo sistema di gioco si libera l’unico vero top player di questa squadra e si garantisce maggior copertura.

Per noi italiani maestri di tattica un ragionamento simile è incomprensibile. Spesso la capacità di interpretare le partite in maniera diversa è stata la nostra forza.

Non si dica che questo schema è obbligato dagli uomini a disposizione, piuttosto è vero il contrario: sono i giocatori ad adattarsi allo schema. Difficilmente l’Islanda esce dal campo con un gran possesso palla. Non si gioca “palla lunga e pedalare” come troppo semplicisticamente viene descritto il gioco islandese da alcuni cronisti nostrani.

Tattica: 4-4-2 all’islandese

La chiave dei successi islandesi è stata la rapidità letale con cui costruiscono le azioni offensive dopo aver fiaccato l’avversario, spingendolo ad infrangersi sul suo muro, spesso eretto dalla mediana a centrocampo.

Questo gioco elementare permette un adattamento veloce e pronto all’uso. L’allenatore supera le difficoltà dei colleghi che si picchiano con i club per avere i giocatori a disposizione qualche giorno in più.

Nell’Italia di abbiamo visto repentini cambi di schema perché più incentrati sui giocatori a disposizione. Ventura, che ha saggiato in poco tempo 4-2-4, 4-3-3 e 3-5-2, non è stato un’eccezione.

Paradossalmente questo modo di giocare ha creato difficoltà all’Islanda quando ha affrontato squadre più deboli che la obbligavano a fare il gioco. Lo si è visto contro l’Ungheria agli Europei, in Kosovo all’andata e con la Finlandia all’andata e al ritorno nei gironi di qualificazione mondiale.

L’indiscutibilità delle scelte

Se la nazionale islandese ha goduto di una forte “tranquillità tattica”, quella tecnica non è da meno. In questi anni, Europeo incluso, l’Islanda ha fatto a meno del suo attaccante più forte: Viðar Örn Kjartansson.

Nessun islandese ha segnato come lui negli ultimi anni. 25 goal in 29 partite con i norvegesi del Vålerenga nel 2014. 9 goal in 28 partite con i cinesi del Jiangsu nel 2015. 14 goal in 20 partite con gli svedesi del Malmö nel 2016. 17 goal in 30 partite con gli israeliani del Maccabi Tel Aviv nelle partite disputate fra 2016 e 2017.

Pubblicamente è trapelato poco. Questa scelta è probabilmente dovuta ad alcuni comportamenti non proprio irreprensibili da parte di Viðar Örn a margine di alcune convocazioni con la nazionale.

Avete presente i tormentoni che scatenano in Italia le non convocazioni del ragazzaccio di turno?

La forza della maglia

Infine ciò che ha reso micidiale questa arma è stato lo strapotere fisico dimostrato dagli islandesi. Quando manca, viene sopperito da un fortissimo attaccamento alla maglia.

Su questo aspetto vale la pena soffermarsi. Nelle scorse settimane abbiamo assistito ad un grande processo mediatico per Ventura e Tavecchio. Sono sicuramente responsabili per carità, ma in campo chi è sceso? Quanto contava la maglia della nazionale per chi l’ha vestita in questi ultimi anni? L’uniforme azzurra era una motivazione speciale oppure un pretesto per chiedere aumenti di ingaggi, salvo viverla come fastidio durante campionati e coppe?

Calcio italiano, da dove ripartire?

Siccome non saremo mai islandesi, tanto vale sfruttare al meglio le caratteristiche che ci contraddistinguono: fantasia, passione, ricerca della qualità. Per farlo servono le persone giuste e tanta pazienza perché la strada è tortuosa.

Serve un riequilibrio delle forze, di cui Tavecchio è espressione, che governano il pallone nostrano. Tutto il polverone di queste settimane ricorda un’altra specialità italiana: cambiare tutto per non cambiare niente. La sostituzione della sola figurina del presidente porterà a ben poco se a tirare le fila saranno sempre gli stessi. Sarà in grado il calcio nostrano di autoriformarsi?

Servirà tanta pazienza anche per cambiare la mentalità, dalle radici. Non se ne può più di vedere i genitori alle partite dei pulcini più scatenati degli ultras in gradinata. Serve il daspo anche per loro.

Bisogna far riscoprire agli allenatori giovanili il primario ruolo di educatori, ancora prima che tecnico/tattico. Se già da bambini siamo abituati a calpestare l’avversario e a insultare il compagno di squadra per arrivare più in alto di loro, difficilmente da grandi sentiremo un gran senso di appartenenza verso qualsiasi tipo di maglia né andremo più d’accordo con il collega in ufficio.

Crescere sportivamente ci fa andare ai mondiali ed essere un Paese migliore. Siccome non saremo mai islandesi, arriviamoci seguendo una via italiana. Pena, mangiarci un’altra pizza all’ananas. Roba da far aggrottare il sopracciglio.

Carlo Ancelotti e sopracciglio

Carlo Ancelotti e il suo famoso sopracciglio, attualmente senza squadra (fanpage.it)