Cosa vuol dire scrivere su un sito amatoriale, e scoprire di essere seguiti con passione e affetto da un big del giornalismo sportivo italiano? Beh, è una sensazione che possiamo raccontarvi in prima persona. Da qualche tempo, infatti, abbiamo notato di essere seguiti con costanza da Darwin Pastorin. La sua carriera parla per lui, visto che si occupa di calcio dagli anni Settanta, ha collaborato con testate e trasmissioni prestigiose e ha assistito ad alcuni degli eventi calcistici più importanti degli ultimi decenni fino ai giorni nostri.

Ma cosa spinge Pastorin a seguire freezeland.it che, senza volerci sminuire, resta comunque un servizio da appassionati per appassionati, senza chissà quali pretese? Noi gli abbiamo chiesto un’intervista telefonica in esclusiva, che ci ha gentilmente concesso.

Darwin Pastorin.

Averti fra i nostri lettori è un grandissimo onore. Per curiosità, come sei arrivato alla nostra pagina?

Tutto è nato grazie a mio figlio: si chiama Santiago, ha 20 anni, tifa Cagliari ed è un appassionato di geopolitica. E’ stato in Islanda e così è diventato un tifoso. Nel periodo dei Mondiali abbiamo cercato insieme qualche sito italiano che si occupasse in particolare di calcio islandese, e così abbiamo scoperto il vostro sito e la vostra pagina. Da lì siamo diventati dei fan, anche perché la pagina è ben gestita e il sito è scritto bene, e vi faccio i miei complimenti.

Il tuo interesse per il calcio islandese è recente o hai avuto modo di seguirlo nel corso delle tue esperienze giornalistiche?

Non sono mai stato in questi posti, ma ho sempre guardato con interesse all’Islanda. Ciò anche grazie ad aspetti extracalcistici, per esempio grazie alla letteratura islandese e in particolare ai romanzi di Arnaldur Indriðason. L’Islanda mi ha sempre affascinato anche per questioni sociali, è un Paese dove governano le donne e dove non ci sono certi problemi di divario sociale. Poi ovviamente le imprese straordinarie compiute recentemente dalla Nazionale islandese hanno fatto il resto.

Insomma, ho sempre trovato una certa ispirazione nell’Islanda. Anche in un mio libro, uno dei personaggi è un calciatore brasiliano che sogna la Serie A italiana, ma finisce raggirato da un procuratore e si ritrova a giocare proprio in Islanda (il libro è “Avenida del Sol. A piedi scalzi in Sudamerica”, ndr). Ma al di là dell’Islanda, mi sono interessato anche alle isole Faroer: in estate spero di andarci, e nel caso vi farò avere anche delle foto!

Cosa pensi dell’exploit del movimento islandese?

La differenza rispetto al passato è che ora gli islandesi ci credono. Il loro vero exploit sta in questa loro determinazione: da piccoli, questo saper diventare grandi. Ciò è anche sorprendente se pensiamo all’Islanda degli anni e dei decenni passati, era una piccola Nazionale che prendeva anche delle imbarcate. Invece sono cresciuti molto e sono riusciti a togliersi queste grandi soddisfazioni, e anche le stesse Faroer hanno fatto importanti progressi a livello di Nazionale.

Cosa pensi del calcio scandinavo in generale che, sebbene non raggiunga posizioni prestigiose dagli anni ’90, ha privato l’Italia del sogno mondiale?

Sì, tra l’altro proprio alla Svezia sono legato dal fatto che lì il mio Brasile ha vinto il suo primo Mondiale, e in campo c’era un certo Pelè, all’epoca giovanissimo. Devo dire che la non-qualificazione dell’Italia però mi ha sorpreso fino a un certo punto, l’Italia era – ed è ancora – in un momento di difficoltà dal punto di vista calcistico. Ora però c’è Mancini che sta facendo un buon lavoro, e sono sicuro che riuscirà a risollevare le sorti della Nazionale, anche perché sta puntando su giovani di sicuro avvenire.

Per quanto riguarda il calcio scandinavo, diciamo che sono Nazionali che certe imprese le hanno nel DNA, con questo modo di giocare molto fisico ma anche fatto di sacrificio e determinazione. E sono proprio queste le caratteristiche che sono emerse più di recente nelle imprese dell’Islanda ai recenti Europei e ai Mondiali.

Tra l’altro, proprio in Svezia si svolsero gli Europei del 1992: questo mi ricorda quando andammo in ritiro io e Alberto Cerruti per seguire la competizione. A seguire la Danimarca non c’era nessuno – a parte ovviamente i giornalisti danesi. Proprio nessuno. Per la finale, ovviamente, le cose cambiarono radicalmente e accorsero giornalisti da tutto il mondo: nessuno si sarebbe aspettato di vedere la Danimarca giocarsi il titolo. L’epilogo lo conosciamo, quella Danimarca compì un’impresa storica vincendo l’Europeo da ripescata.

Se non erriamo, il tuo ultimo libro è “Storia d’Italia ai tempi del pallone. Dal Grande Torino a Cristiano Ronaldo”. Come hai visto cambiare il mondo del calcio dall’inizio della tua esperienza come giornalista sportivo ad oggi?

Esatto, anche se ora sto lavorando a un nuovo libro. Il calcio l’ho visto cambiare tantissimo in questi decenni, ma soprattutto, più che lo sport in sé, sono cambiati proprio i tempi. Una questione proprio di spirito, di approccio alle cose. Quando ero ragazzo io, c’era la radio: il calcio perlopiù, all’epoca, lo immaginavi. Ho iniziato proprio in radio, e al tempo c’era un altro modo di vivere il calcio, era tutto più poetico e romantico. Anche guardando la cosa con occhi da giornalista: potevi assistere agli allenamenti, potevi intervistare chi volevi, non c’erano procuratori. Si riusciva a creare anche un rapporto più stretto con calciatori e allenatori, anche di amicizia.

Oggi le cose sono radicalmente cambiate. Io posso anche vedere le partite del Palmeiras (che è la squadra per cui tifo in Brasile), però al tempo stesso è difficile anche solo avvicinare i giocatori, nonostante pure essi siano attivi sui social, eccetera. Voglio dire: c’è questa costante tensione nel rapporto lontananza-vicinanza. Per utilizzare una metafora, siamo passati dal dribbling al marketing. Ma, come ti dicevo, sono i tempi che cambiano, bisogna anche saper accettare questi cambiamenti. Penso di aver avuto fortuna ad aver vissuto quegli anni e certi eventi, come i Mondiali di Spagna ’82.

Nel corso della tua attività professionale, hai lavorato anche per il mitico Guerin Sportivo. E’ la più antica rivista sportiva al mondo che, nella sua storia secolare, ha raccolto le firme sportive più prestigiose del nostro paese. Cosa ha rappresentato per te questa esperienza? Hai qualche aneddoto particolare legato a quegli anni?

Per me ha rappresentato tantissimo, ho molti ricordi legati a quell’esperienza. Iniziò tutto quando avevo 22 anni. Italo Cucci mi disse che Carlo Nesti stava lasciando il Guerin Sportivo, mi contattò per una prova: andò bene, e così iniziai. Solo molti anni dopo seppi che ad aver fatto il mio nome fu Giovanni Arpino, ma non mi dissero nulla. Lo scoprii solamente nel 2000. Pertanto, purtroppo non ho mai avuto modo di ringraziarlo, visto che Giovanni se n’è andato nel 1987.

Di aneddoti ce ne sarebbero diversi, ma voglio raccontarti questo. Siamo sempre nel ’76-’77, Enzo Bearzot è da poco diventato commissario tecnico della Nazionale. Il Guerin Sportivo, però, all’epoca non era esattamente a favore della sua nomina in quel periodo, e Bearzot non aveva gradito alcuni nostri articoli. In quel periodo, la Nazionale è a Torino, a Villa Sassi. Italo Cucci mi chiede un’intervista a Bearzot, e io gli rispondo “Ma Bearzot con noi non parla!”. Lui mi ribadisce che, se voglio fare questo mestiere, gli devo portare l’intervista con Bearzot.

Così chiamo Villa Sassi e chiedo se posso parlare con il ct: sento Bearzot che dice “io per Darwin ci sono sempre”. Poi Bearzot mi spiega che non intende rilasciare dichiarazioni al Guerin Sportivo, parliamo… Alla fine riusciamo a fare l’intervista, anche Italo Cucci si riavvicina a Bearzot e i rapporti cambiano. Diciamo che va di pari passo con la cavalcata verso quelli che poi saranno i Mondiali del 1982.

Oltre che per il Guerin Sportivo, hai lavorato per Tuttosport, Sky Sport e collaborato con i principali quotidiani italiani. Grazie al tuo lavoro, quali sono gli eventi sportivi che hai vissuto in diretta che ti sono rimasti più impressi?

Sono stato vent’anni a Tuttosport, ho lavorato per Tele +, Stream, Sky Sport, La7 Sport, per l’Huffington Post occupandomi anche di letteratura oltre che di calcio… Ho avuto la fortuna di vivere tanti eventi importanti da vicino, come il Mondiale del 1982, ma anche il Mundialito ’81, Messico ’86, Italia ’90, USA ’94. Ho seguito quattro edizioni della Coppa America, un’edizione della Coppa d’Africa, e il trionfo della Coppa Intercontinentale della Juventus a Tokyo.

Poi ho conosciuto personaggi incredibili di questo mondo: da Gaetano Scirea a Diego Armando Maradona, passando per Zico, Tardelli, Zoff ma più in generale tutti gli eroi dell’82. E ancora Buffon, Zaccarelli, Facchetti, ho conosciuto anche un artista del pallone come Pelè. E poi ho scritto per esempio di Garrincha e di Barbosa, che non ho conosciuto di persona ma che ho sentito molto “miei”. Sono anche stato negli stadi più grandi del mondo e ho conosciuto un grande della letteratura mondiale come Eduardo Galeano.

E quali sono i giocatori, gli allenatori o gli sportivi in generale che ti hanno segnato maggiormente, non solo per la loro abilità in campo, ma anche per il loro carisma e le loro qualità morali?

Se devo dire un nome su tutti, direi Gaetano Scirea. Scirea mi manca terribilmente, era veramente un uomo perbene. Soprattutto, era un campione sotto tutti i punti di vista, dunque anche sotto il profilo umano. Dal punto di vista sportivo direi Maradona: era davvero insuperabile. Poi come ho detto prima sono rimasto molto legato ai campioni del 1982 come Paolo Rossi, che fu il re di quel Mondiale, anche se segnò tre gol al mio Brasile. Come dicevo anche prima, queste sono soddisfazioni che oggi è difficile avere. Per come sono cambiati i tempi, è difficile conoscere davvero i giocatori, soprattutto dal punto di vista umano. Tra l’altro, nel 2006 ho condotto “Il gol sopra Berlino” su La7, nel quale abbiamo raccontato e accompagnato le gesta degli azzurri nella vittoria dell’ultimo titolo Mondiale. Insomma, possiamo dire che ho vinto anche io due Mondiali, non male! (ride, ndr)

Secondo te, nello sport di oggi, ed in particolare nel calcio, è ancora possibile che personalità di questo stampo riescano ad affermarsi o sono costretti a soccombere davanti alle regole del mercato e dell’audience?

Le cose sono un po’ cambiate, sì, è innegabile. Secondo me però il talento viene sempre fuori e viene premiato. Per esempio a me piace molto Zaniolo, credo che abbia le stimmate del campione. Ora, lasciamo stare i paragoni, però è un giocatore che farà strada. Credo anche che sia importante che ci siano giocatori che sappiano divertire, che sappiano emozionare, perché è questo il bello del calcio. Certo, oggi è uno sport diverso, un altro calcio: si privilegiano i diritti tv e si tende a pensare prima ad altri aspetti.