Premessa necessaria. Chi scrive è sampdoriano e non dorme da due notti. Un finalista, Ivan Strinić, ha fatto mezza stagione di panchina alla Samp dietro Nicola Murru. Afflitto dai misteri del calcio, perdonatelo se scrive qualche infamia.

La Francia festeggia il titolo di Campione del Mondo (gds.it)
Condividendo il giudizio di molti organi di stampa, quelli di Russia sono stati dei bei mondiali e, proprio per questo, un po’ anomali. Partite molto equilibrate, grandi campioni poco incisivi, l’introduzione del VAR, ecc. Sono tanti gli spunti interessanti lasciati dalle 64 partite disputate. Scendiamo un po’ più nel dettaglio.
Gli assi nella manica di Russia
Partiamo dal quartetto inedito approdato in semifinale. Quattro squadre con quattro storie molto differenti l’una dall’altra e viste di rado a questi livelli.
La Francia è l’unica ad essere arrivata fra le prime quattro nel nuovo millennio. Lo ricordiamo bene perché i francesi arrivarono secondi dietro gli Azzurri nel 2006. I neocampioni del mondo sono anche quelli con la storia più consolidata: campioni del mondo nel 1998, terzo posto nel 1986 (era la Francia di Platini), un altro terzo posto ai mondiali di Svezia del 1958 (trascinati dal bomber Just Fontaine con ben 13 reti, record imbattuto ancora oggi per una singola edizione dei mondiali).
Segue l’Inghilterra. Sarà anche la patria del football, ma con il motto “It’s coming home” si sono portati una rogna nera. L’ultima volta fra le prime quattro risale alle notti magiche di Italia ’90, quarto posto dietro gli azzurri. Dopodiché, tolto il titolo casalingo del 1966, non c’è più traccia degli inglesi fra le prime quattro.

Ritratto di Gordon Banks, mitico portiere dell’Inghilterra campione del mondo nel 1966 (pinterest.com)
Le due outsider
La Croazia vice campione fa storia a sé. Nata dalle ceneri dell’ex Yugoslavia, ha proclamato l’indipendenza nel 1991. A causa della guerra, la prima partecipazione ad una competizione internazionale risale al 1996, gli europei inglesi. La prima presenza ad una Coppa del Mondo risale al 1998 ed è col botto: terzo posto.
E’ la cosiddetta generazione d’oro croata: Zvonimir Boban e Davor Suker su tutti, affianco dei vari Robert Prosinecki (ha giocato sia nel Real che nel Barcellona), Robert Jarni (Torino, Juve, Real Madrid), Igor Tudor (altro ex Juve), Mario Stanic (nel Parma degli anni migliori). Dopo questo exploit non ha più passato il primo turno.
Il Belgio infine aveva raggiunto le semifinali solo una volta nella storia, nel 1986 in Messico. Fu sconfitta dalla Germania Ovest in semifinale e appunto dalla Francia nella finalina. Da anni viene indicata come potenziale sorpresa, fallendo puntualmente ad ogni appuntamento.
Nel segno dell’equilibrio
Tolta la cenerentola Panama, non ci sono state grandi imbarcate. L’unica altra squadra finita a 0 è l’Egitto che ha patito la sconfitta iniziale all’ultimo minuto contro l’Uruguay e un Salah non al massimo della forma. Con 1 punto nei gironi troviamo quattro squadre.
La prima è il Marocco, buona squadra, una vecchia volpe in panchina (Hervé Renard, francese, chi capisce il gioco di parole vince una maglietta sudata di Gunnarsson) e alcuni giocatori dai piedi buoni. Ha raccolto meno di quanto dovuto in un girone dall’esito indeciso fino all’ultimo minuto con Portogallo, Spagna e Iran.
La seconda è l’Australia che, in realtà, era in lizza per gli ottavi fino all’ultima partita dei gironi. E’ stata sconfitta a fatica per 2-1 dai futuri campioni francesi grazie ad un rigore ed un autogoal.

Felipe Baloy, 37 anni e 103 presenze in nazionale, manda in visibilio il proprio pubblico quando, sotto per 6-0, segna il primo goal per Panama nella storia dei mondiali (si.com)
Segue la nostra Islanda che, come l’Australia, era ancora in gioco per gli ottavi all’ultima partita contro la Croazia. Era partita strappando uno storico pareggio all’Argentina di Messi prima della partita dei rimpianti contro la Nigeria.
Infine troviamo il Costa Rica, sconfitto a fatica dal Brasile solo in pieno recupero. I costaricensi per altro non sono una novità e arrivavano dallo storico raggiungimento nei quarti della passata edizione. Nel 2014 fecero fuori gli Azzurri nel girone, batterono ai rigori la Grecia agli ottavi e persero solo ai rigori nei quarti contro l’Olanda.
…e dello squilibrio
Il caso di equilibrio più eclatante è stato quello del girone H. Colombia prima, Giappone e Senegal appaiate a 4 punti con uguale differenza reti, reti segnate e pareggio nello scontro diretto. Passa il Giappone perché “ha meno gialli”. Detta così fa un po’ ridere, se non fosse per i senegalesi neri di rabbia. Ma forse è meglio fermarci qui.
In sostanza molte nazionali considerate di seconda fascia, grazie ad una buona organizzazione di gioco e a gruppi affiatati, hanno reso ogni partita imprevedibile. Il resto lo ha fatto un calendario dei club massacrante. I giocatori di maggior prestigio sono arrivati all’appuntamento mondiale stanchi e svuotati di motivazioni, abbassando il divario con chi top player non è.
Tutti per uno, tutti contro tutti
Organizzazione di gioco e gruppo sono state le chiavi dei grandi fallimenti del mondiale russo. Già l’antipasto era stato alquanto indigesto con l’eliminazione di nazionali storiche. Dell’Italia si sa, ma come dimenticare Olanda e Stati Uniti.
I gironi hanno offerto il piatto più ghiotto: la Germania. La corazzata tedesca è andata miseramente a picco, falcidiata da lotte intestine allo spogliatoio e uno schieramento tattico improvvisato e confuso.
Negli ottavi è finita l’agonia dell’Argentina. Passato il girone all’ultimo respiro, ha fatto poca strada pagando una squadra devastata dal conflitto con l’allenatore. In campo erano pochi quelli che sapevano cosa fare e spesso l’unica soluzione era passare la palla ad un Messi giù di giri.
Discorso non molto diverso per la Spagna. La storica divisione fra clan madridista e catalano ha avuto il suo compimento con l’esonero prima dell’esordio dell’allenatore Lopetegui. Il passaggio del girone ha rischiato di naufragare all’ultimo assalto iraniano. Il banco è saltato davanti alla maggior motivazione dei padroni di casa russi.
Le stelle cadenti
Poco più lontano è andato il Brasile principale indiziato per la vittoria finale. Dopo un girone non brillante (pareggio con la Svizzera, vittoria nel recupero con Costa Rica), ha salutato il mondiale soccombendo per mano del Belgio eterna incompiuta.
Se doveva essere il mondiale delle stelle, lo è stato di quelle cadenti (Messi, CR7, i campioni in carica tedeschi) e rotolanti (Neymar).
C’è un filo conduttore che lega le prime quattro: la qualità della rosa messa insieme in un gruppo solido. Alla fine ha vinto Deschamps che, dei quattro, era quello con i 23 migliori. Un plauso a Martinez e Southgate che, anche senza un curriculum formidabile, sono riusciti a mettere insieme dei collettivi che finora erano competitivi soltanto sulla carta.
I casi curiosi di Svezia e Croazia
Tornando alle stelle cadenti, ci sono quelle rimaste nel firmamento del divano di casa. A guidarle c’è Zlatan Ibrahimovic senza il quale la Svezia si è scoperta molto più forte. Sarà un caso? Sappiamo quanto sia stato importante il gruppo per la straordinaria ascesa dell’Islanda, così come ci ha anche confermato Filippo Conticello della Gazzetta dello Sport che ha avuto la fortuna di seguirlo da vicino. Nella Svezia vediamo un percorso simile: un gruppo coeso di giocatori senza talenti eccelsi, ben organizzati in campo, capace di mettere in difficoltà chiunque. L’Italia l’ha scontato sulla sua pelle e, quantomeno, dovrebbe farne tesoro.

Pyry Soiri, centrocampista 23enne della Finlandia di papà namibiano, segna il goal del pareggio nella partita contro la Croazia (uk.reuters.com)
Un’altro caposaldo dei successi islandesi è stata l’organizzazione, argomento approfondito proprio l’indomani dell’eliminazione dell’Italia. La Croazia eterna rivale dell’Islanda è l’esempio che vale anche l’esatto contrario.
Ottobre 2017, penultima giornata di qualificazione ai mondiali, gruppo I. Islanda e Croazia sono prime a pari merito con 16 punti, ma i croati guidano per differenza reti e scontri diretti (2-0 vs 0-1). L’Islanda vince magnificamente per 3-0 nella delicatissima trasferta turca, con la Turchia ancora in lizza per il pass mondiale. La Croazia invece, in casa, subisce al 90′ il pareggio della Finlandia penultima del girone, ad opera del carneade Pyry Soiri.
I vertici della federcalcio croata decidono l’esonero lampo di Ante Cacic. Ingaggiano Zlatko Dalic giusto in tempo per il match decisivo in casa dell’Ucraina. Si presenta ai giocatori in aeroporto ed il resto è storia. Come dire, anche la fortuna è fondamentale. Il merito di Dalic, una modesta carriera da calciatore e una da allenatore spesa soprattutto nei campionati arabi, è stato proprio quello di rimettere insieme tutte le stelle croate.
L’Islanda del dopo Heimir Hallgrímsson
Dell’Islanda abbiamo detto tanto nello speciale pre-mondiale, nelle cronache mondiali, nell’intervista a Filippo Conticello. Era difficile chiedere ed immaginare di più da questa esperienza. Restiamo in attesa di sapere come sarà composto il girone di qualificazione per l’Europeo itinerante del 2020. Con il format a 24 squadre, ambire ad una nuova qualificazione non è un miraggio. Nel frattempo ci sarà l’antipasto della neonata UEFA Nations League dove l’Islanda affronterà la Svizzera ed il Belgio.
Nel mezzo c’è un delicato ricambio generazionale da portare avanti che riguarderà soprattutto il reparto arretrato: Hannes Halldórsson ha 34 anni, Kári Árnason viaggia per i 36, Ragnar Sigurðsson per i 32, Birkir Sævarsson per i 34. Senza dimenticare Ari Freyr Skúlason (31), Emil Hallfreðsson (34), Birkir Bjarnason (30) e capitan Gunnarsson che ai 30 ci si avvicina.

Heimir Hallgrímsson, 51 anni, dentista delle Vestmannaeyjar. Il resto lo sapete! (supersport.com)
C’è da sciogliere anche il nodo tattico relativo ai terzini. L’Islanda ha sofferto endemicamente in questo ruolo, supplendo parzialmente riadattando gli Hörður Magnússon e Ari Freyr Skúlason di turno. A tratti è stato sperimentato il 3-5-2, sarà la scelta di domani?
Grazie Heimir!
Soprattutto, notizia di poco fa, non sarà Heimir Hallgrímsson a guidare l’Islanda verso il futuro. Lascia dopo 7 anni sulla panchina islandese, di cui 3 da vice di Lars Lagerbäck e dopo essere stato uno degli artefici principali di questo miracolo sportivo. La KSI avrebbe continuato volentieri con lui come CT. Hallgrímsson, consapevole di quanto fatto in questi anni, ha deciso di prendere altre strade alla ricerca di nuove motivazioni. E’ la chiusura di un ciclo.
Dal nome del suo successore e dalle convocazioni per la Nations League, capiremo molto di cosa ci aspetta per gli anni a venire. Ripetersi sarà molto difficile, ma le basi per affrontare al meglio le sfide che arriveranno ci sono tutte.
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